venerdì 18 ottobre 2013

La crisi non molla la presa sull'Italia? “La soluzione è volare a Bruxelles”

Con la crisi economica che non molla la presa sull'Italia, sempre più giovani volano a Bruxelles in cerca di fortuna. “In una città meritocratica come questa chiunque può realizzare le proprie ambizioni”, spiega ad Affaritaliani.it Federica Gramegna, romana, 31 anni, nella capitale belga da cinque come addetta stampa al Parlamento europeo. Di storie di italiani ne conosce molte, tanto che ha deciso di raccoglierle in un libro, 'Prima o poi torno, uscito mercoledì e presentato proprio a Bruxelles. “Molti ragazzi sono arrivati qui con laurea e master per lavorare nelle istituzioni europee. Altri, come Stefania, una laurea non ce l'avevano e neppure una infarinatura di inglese. Ma ora possono dire di avercela fatta”. Nel libro ci sono molti consigli pratici su come trovare lavoro. Ma se la disoccupazione è il motivo della partenza, il vero problema è la solitudine: “Bruxelles è una città da orologio e 24 ore, come dico io. Ti fa sentire un privilegiato, ma tende a farti diventare cinico e ad isolarti”.

Come è nata l’idea di scrivere questo romanzo?
“Ho deciso di intraprendere questa avventura per dare una speranza ai nostri giovani e dire loro che all’estero, in una città meritocratica come Bruxelles, si possono realizzare le proprie ambizioni. Per questo ho raccolto le storie dei tanti italiani emigrati in Belgio”.

Bruxelles è davvero la terra promessa?
“E’ una città che offre molte possibilità e se vali ce la fai. Chi arriva qui spesso lo fa dopo aver frequentato il Collegio d’Europa, che poi quasi automaticamente ti porta a lavorare nelle istituzioni europee. Sono storie di persone che credono veramente nell’ideale dell’Unione Europa e che vorrebbero cambiare l’Italia da dentro le istituzioni. Ma ci sono anche storie di giovani che senza una laurea, senza neppure conoscere l’inglese, si sono fatti strada dopo molti tirocini e gavetta in un ambiente estremamente competitivo come quello di Bruxelles. Persone che addirittura sono partite lasciando a casa un contratto a tempo indeterminato”.

A causa della crisi economica quest’anno le richieste da parte di giovani italiani per partecipare ai tirocini nelle istituzioni Europee hanno raggiunto il record storico. Che consigli pratici puoi dare a chi vuole intraprendere la ‘via di Bruxelles’?
“Per prima cosa bisogna monitorare i siti delle istituzioni, dove sono pubblicati bandi e opportunità di tirocinio. Ma è necessario anche andare oltre: ci sono tante possibilità lavorative a livello di lobby, di società di consulenze, di organizzazioni internazionali. Bruxelles non finisce con la Commissione o il Parlamento europeo. Cercare di approfondire la conoscenza delle lingue, inglese e francese in primis, magari con un corso intensivo, è importante. Ma nel mio libro racconto anche di una ragazza che ha imparato il fiammingo e ora lavora per la Croce Rossa”.

Qual è la storia che ti ha colpito di più tra quelle che hai raccolto?
“Quella di Maximo, un ragazzo nato in Argentina da padre italiano e madre argentina di origini italiane. La sua infanzia era piena dei racconti di suo nonno sull’Italia. Per tutta la vita si è portato dietro un senso di nostalgia e inquietudine e ha sempre sognato il ritorno a casa. Questa insoddisfazione lo ha portato ad avere un rapporto conflittuale con suo padre, che solo recentemente ha perdonato per il fatto di non averlo fatto crescere in Italia. Oggi lavora a Bruxelles per una società di consulenza ed è una persona serena. Chi ha lavorato oltreconfine è consapevole di quanto vale una esperienza all’esterno e probabilmente lascerà partire i propri figli. Ma sarebbe bello che poi tornassero indietro per dare una mano al nostro Paese”.

All’inizio hai parlato anche di persone senza laurea e senza conoscenze delle lingue…
“Sì, è il caso di Stefania, una ragazza partita dal suo paesino di Ferrara che senza una laurea o un master e con problemi di salute, ha viaggiato per l’Europa e ha scelto di stabilirsi qui perché si è sentita accolta da un abbraccio caloroso dell’ampia comunità di italiani. Ora organizza eventi ed è diventata una vera istituzione all’interno della comunità italiana”.

Fin qui il lavoro, che è il motivo per cui molti espatriano, ma anche dal punto di vista umano e sentimentale deve essere dura. E’ così?
“Sì, lo è. E mi viene in mente la storia di una coppia. Massimo e Francesca sono due ragazzi con una relazione a distanza. Francesca ha raggiunto Massimo dopo anni passati a fare la spola tra Messina e Bruxelles. Ha rinunciato ad un contratto a tempo indeterminato e ora lavora col fidanzato nel sociale. Per amore si può cambiare vita”.

Com’è vivere a Bruxelles?
“Bruxelles è una città d’affari: da orologio e 24 ore, come dico io. E’ una occasione da non perdere e ti può dare molto. Vivere qui ti fa sentire un privilegiato, ma è anche una città che tende a farti diventare cinico e a farti sentire spesso solo. E’ un ambiente molto competitivo, fatto di biglietti da visita e strette di mano. Bisogna cercare di rimanere se stessi e mantenere la propria identità. Il fatto che ci sia una grande comunità italiana aiuta. Il mio invito è quello di sfruttare questa piazza senza diventare troppo individualisti”.

A Bruxelles si sente molto parlare di ‘bolla’, che cos’è?
“La nostra è una generazione molto fragile, siamo pronti a scoppiare da un momento all’altro, come una bolla, appunto. Siamo forti, siamo tenaci, perché ci siamo realizzati lavorativamente, però allo stesso tempo siamo molto deboli. E in fondo questo mondo dei social network cela una profonda solitudine”.

Dal titolo che hai dato al tuo libro si percepisce però un desiderio latente per ogni italiano di tornare a casa. E’ così?
“Assolutamente sì. In ognuno di noi in fondo c’è questa voglia di tornare alle nostre radici. Anche se poi, quando effettivamente lo fai, ritrovi tutti i difetti di cui siamo consapevoli. Ma Bruxelles va bene per qualche anno, poi bisogna tornare a casa”.

via affari italiani

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